Dibattito
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Autore: Enrico Menduni
Il d. è una forma di intrattenimento radiofonico e televisivo fondata sulla conversazione. Diversamente dal cinema, che non si rivolge mai al proprio spettatore se non per mostrargli le immagini e i suoni della vicenda che è oggetto del film, la radio e la televisione dialogano con l’ascoltatore a casa attraverso le parole dei presentatori e degli annunciatori. Questo rivolgersi al pubblico connota il broadcasting radiofonico e poi televisivo come una forma di conversazione, il cui tono originariamente ufficioso e formale tende sempre più ad assumere i toni dell’amicizia.
Fin dagli anni Trenta la radiofonia ha utilizzato la forma conversazionale per presentare al pubblico temi e argomenti di riflessione, dibattuti da più interlocutori autorevoli, coordinati da un moderatore. Il d. era semplice da organizzare, permetteva agli intervenuti di improvvisare i loro contributi senza il bisogno di stendere lunghi testi scritti che peraltro il pubblico aveva mostrato di non gradire molto. Il d. assumeva così connotati quasi drammaturgici e permetteva di avvicinare al pubblico anche temi complessi; è il caso della trasmissione radiofonica serale della Rai "Il convegno dei cinque", che è rimasta un classico esempio del genere.
Con l’avvento della Tv questo genere radiofonico, come molti altri, migrò sul piccolo schermo, incontrando un notevole successo su entrambe le rive dell’Atlantico. Negli Stati Uniti esso risultò il miglior complemento del formato preferito dell’informazione televisiva, e cioè l’approfondimento a opera di un giornalista qualificato e pronto alla polemica. In Europa invece il d. rappresentò una delle forme tipiche con cui l’ideale pedagogico dei servizi pubblici radiotelevisivi animarono una televisione culturale ed educativa. Inoltre il fatto che su una stessa questione discutessero varie persone di diversa espressione era una chiara incarnazione di un temperato ideale di pluralismo. Uno studio arredato austeramente con un tavolo circondato da sedie e con una libreria sullo sfondo era sufficiente per mettere in scena il d., eventualmente con un pubblico in sala, presentato come attento e silenzioso. Naturalmente, per l’autorevolezza del messaggio, occorreva che tutti gli invitati fossero ritenuti illustri e competenti in quel particolare campo del sapere che era oggetto della trasmissione.
Un simile formato non poteva rimanere inalterato con la contaminazione dei generi e l’accorciamento dei tempi e dei ritmi che caratterizzano la neotelevisione, quando sulla scena europea irrompe la concorrenza delle emittenti commerciali.
Si verifica allora un passaggio piuttosto rapido a un altro formato, il talk show. La tavola rotonda si evolve, anche dal punto di vista della scenografia, in un salotto nel quale siedono persone comuni e vip. Non si ricercano perciò persone che abbiano una speciale competenza nel campo che è argomento di quella puntata del programma, ma che siano famose, a qualunque titolo. Vincere una corsa automobilistica, essere ministro, avere appena pubblicato un libro di successo sono altrettante cause (ed effetti insieme) di popolarità; ma anche essere eroi o vittime o testimoni di un fatto di cronaca, anche nera, di un episodio di costume, o di qualche strana abitudine o costume che può incuriosire il pubblico.
Il talk show perde così ogni ufficialità pedagogica per mettere in scena, a soggetto, una conversazione ormai fluidificata fino a sconfinare nella chiacchiera o nella contesa da bar.
In Italia infatti il talk show arriva proprio al termine dell’esperienza del monopolio, con i programmi Rai Bontà loro (1976), Acquario (1978), Grand’Italia (1979), tutti di Maurizio Costanzo, che lancerà poi il suo talk show più famoso, il Maurizio Costanzo Show (in onda su Canale 5 dal 1982).
L’intercambiabilità degli ospiti rafforza la figura del conduttore, pronto a passare da un ospite all’altro non appena l’attenzione del pubblico cala, e a stimolare in ogni modo il principale valore della trasmissione, la vivacità degli scambi verbali, talvolta con personaggi pronti ad aggredire, pur di fare ascolto.
Con Michele Santoro (Samarcanda, 1987-1992) lo studio si dilata nel d. con una piazza animata di gente; gli ospiti in studio perdono ogni residuo alone di intangibilità, sottoposti al contrasto con gli interessi animati dalla ‘piazza’, moderno coro di una drammaturgia sociale televisiva.
Fin dagli anni Trenta la radiofonia ha utilizzato la forma conversazionale per presentare al pubblico temi e argomenti di riflessione, dibattuti da più interlocutori autorevoli, coordinati da un moderatore. Il d. era semplice da organizzare, permetteva agli intervenuti di improvvisare i loro contributi senza il bisogno di stendere lunghi testi scritti che peraltro il pubblico aveva mostrato di non gradire molto. Il d. assumeva così connotati quasi drammaturgici e permetteva di avvicinare al pubblico anche temi complessi; è il caso della trasmissione radiofonica serale della Rai "Il convegno dei cinque", che è rimasta un classico esempio del genere.
Con l’avvento della Tv questo genere radiofonico, come molti altri, migrò sul piccolo schermo, incontrando un notevole successo su entrambe le rive dell’Atlantico. Negli Stati Uniti esso risultò il miglior complemento del formato preferito dell’informazione televisiva, e cioè l’approfondimento a opera di un giornalista qualificato e pronto alla polemica. In Europa invece il d. rappresentò una delle forme tipiche con cui l’ideale pedagogico dei servizi pubblici radiotelevisivi animarono una televisione culturale ed educativa. Inoltre il fatto che su una stessa questione discutessero varie persone di diversa espressione era una chiara incarnazione di un temperato ideale di pluralismo. Uno studio arredato austeramente con un tavolo circondato da sedie e con una libreria sullo sfondo era sufficiente per mettere in scena il d., eventualmente con un pubblico in sala, presentato come attento e silenzioso. Naturalmente, per l’autorevolezza del messaggio, occorreva che tutti gli invitati fossero ritenuti illustri e competenti in quel particolare campo del sapere che era oggetto della trasmissione.
Un simile formato non poteva rimanere inalterato con la contaminazione dei generi e l’accorciamento dei tempi e dei ritmi che caratterizzano la neotelevisione, quando sulla scena europea irrompe la concorrenza delle emittenti commerciali.
Si verifica allora un passaggio piuttosto rapido a un altro formato, il talk show. La tavola rotonda si evolve, anche dal punto di vista della scenografia, in un salotto nel quale siedono persone comuni e vip. Non si ricercano perciò persone che abbiano una speciale competenza nel campo che è argomento di quella puntata del programma, ma che siano famose, a qualunque titolo. Vincere una corsa automobilistica, essere ministro, avere appena pubblicato un libro di successo sono altrettante cause (ed effetti insieme) di popolarità; ma anche essere eroi o vittime o testimoni di un fatto di cronaca, anche nera, di un episodio di costume, o di qualche strana abitudine o costume che può incuriosire il pubblico.
Il talk show perde così ogni ufficialità pedagogica per mettere in scena, a soggetto, una conversazione ormai fluidificata fino a sconfinare nella chiacchiera o nella contesa da bar.
In Italia infatti il talk show arriva proprio al termine dell’esperienza del monopolio, con i programmi Rai Bontà loro (1976), Acquario (1978), Grand’Italia (1979), tutti di Maurizio Costanzo, che lancerà poi il suo talk show più famoso, il Maurizio Costanzo Show (in onda su Canale 5 dal 1982).
L’intercambiabilità degli ospiti rafforza la figura del conduttore, pronto a passare da un ospite all’altro non appena l’attenzione del pubblico cala, e a stimolare in ogni modo il principale valore della trasmissione, la vivacità degli scambi verbali, talvolta con personaggi pronti ad aggredire, pur di fare ascolto.
Con Michele Santoro (Samarcanda, 1987-1992) lo studio si dilata nel d. con una piazza animata di gente; gli ospiti in studio perdono ogni residuo alone di intangibilità, sottoposti al contrasto con gli interessi animati dalla ‘piazza’, moderno coro di una drammaturgia sociale televisiva.
E. Menduni
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Come citare questa voce
Menduni Enrico , Dibattito, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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